La Voce del buio- Parte 5 Alessio Ilari, Novembre 27, 2016 Oltre a due corpi sfocati su una foto non avevo nulla. Poche informazioni e nessun testimone, dovevo assolutamente trovare Frank prima che lo facesse la polizia. “Prima di andare ti vorrei chiedere una cortesia, potresti mandarmi la foto?”, non appena avevo finito di parlare, Helena si girò guardandomi un po’ sorpresa, non aspettandosi una simile richiesta. “Non avrei problemi a riguardo, tu però dovrai farmi un favore”. “Dimmi” “Dovrai portarmi con te, voglio capire di più. In cambio documenterò ciò che vedremo, facendo delle foto che potrai allegare al tuo articolo”, fece una pausa , “sia chiaro però che dovrai pagarmele”. Rimasi spiazzato per qualche secondo. Quella che mi era sembrata una ragazza fragile e turbata aveva invece un carattere forte, pronto a sfruttare l’occasione. “D’accordo, mi sembra un buon compromesso”, d’altronde mi potevano fare comodo delle fotografie da inserire nell’articolo. Mi alzai dalla panchina, il sole era arrivato alto nel cielo: sicuramente era già quasi mezzogiorno. Andare alla polizia per scoprire qualcosa era inutile, non mi avrebbero mai detto nulla. “Tu non sei stata la prima a trovare il corpo, lo sai? Il mio informatore mi ha detto che era stato Francesco ad avvertire la polizia”. “No, non credo sia possibile. Ho chiamato io la polizia”, Helena alzò lo sguardo verso il lago, “Non c’era nessun altro intorno, era troppo presto… Anche il bar doveva ancora aprire!”. Effettivamente quello che diceva aveva un senso, era strano che dopo una serata di alcol Frank fosse riuscito a chiamare la polizia. I miei pensieri furono interrotti da un sordo click. Helena aveva chiuso il portatile e lo stava riponendo nello zaino, “Sono riuscita a inviare la mail. Ora cosa facciamo?”. “Dobbiamo andare dall’altra parte del lago, Francesco vive in una casetta prefabbricata in mezzo al bosco”, avevo iniziato a camminare verso la pompa di benzina, “Vieni, ho la macchina proprio vicino al bar”. La strada correva tutta intorno al lago ed era costellata di locali che solitamente intorno all’ora di pranzo iniziavano ad animarsi di persone. Quel giorno però non c’era quasi nessuno, probabilmente per il terribile evento che si era verificato nella notte. Ricordo chiaramente come in quel momento, mentre camminavo fianco a fianco con Helena, fui sopraffatto da un profondo e inquieto senso di solitudine. Dopo aver lasciato la parte più viva del lago, avevo percorso la strada che lo costeggiava per almeno un paio di chilometri, fino ad arrivare nella parte più selvaggia e meno abitata. Il sentiero per arrivare alla casetta di Frank era sterrato e veniva inghiottito dal bosco di abeti, sparendo in lontananza alla vista. L’odore di umido che sentivo intorno mi riportò indietro ad un piovoso settembre di parecchi anni prima. Con mio padre andammo a fare una passeggiata proprio tra quegli alberi, alla ricerca del tempio di Diana. Lì in mezzo al bosco, a due passi dal lago, i romani avevano dedicato un tempio al culto della Dea della caccia. Oggi versava purtroppo in uno stato di abbandono, il comune non aveva mai pensato di valorizzare realmente quel luogo. Era incredibile però come ci fossero ancora persone che portavano doni di ogni tipo per onorare la Dea. Mi ero trovato improvvisamente inondato da quel senso di melanconia che solo i ricordi della fanciullezza riescono a portare con sé. “Stai bene?”, mi chiese Helena sfiorandomi con una mano la spalla. “Sì, tutto bene. Dobbiamo percorrere il sentiero che taglia il bosco, la casa di Frank è proprio lì in mezzo”. Ci eravamo incamminati sul sentiero e dopo qualche metro la luce del sole era meno intensa, così come il calore dei suoi raggi. Eravamo ormai all’interno del bosco e gli alberi filtravano la luce che passava a malapena. Helena sembrava curiosa, si girava guardandosi intorno, osservando fiori e piante, sembrava una bambina che per la prima volta entrava in un parco giochi. “Ti piace la natura?” Il suo viso si illuminò di un caldo sorriso. “Moltissimo. Ogni volta che entro in un bosco mi sento avvolta da una sensazione di pace”. Avevamo camminato per almeno 5 minuti inoltrandoci nella foresta, quando inaspettatamente il sentiero si aprì in uno spiazzo, troppo perfetto per essere naturale. Una piccola casetta prefabbricata era situata proprio lungo la parte destra, attaccata alla fila di alberi che delineava il confine laterale dello slargo. L’abitazione si sviluppava in lunghezza ed era stretta, a primo impatto si aveva l’idea di guardare un container in legno. Sono sicuro però che per Frank fosse un castello, soprattutto dopo essersi dedicato alla sua passione alcolica. Ci guardavamo intorno, ma a parte l’abitazione non c’erano segni di civiltà. Mi avvicinai alla porta e iniziai a bussare. Aspettammo qualche istante ma non aprì nessuno e dall’interno non si sentivano rumori. “Ora non ho proprio idea di dove possiamo trovarlo”, mi guardavo intorno nella speranza che fosse buttato ai margini del bosco circostante, “anche perché potrebbe essere praticamente ovunque”. “Se proseguiamo dritti il sentiero scende verso il lago?” chiese Helena. “Sì, credo di sì. Ad essere sinceri sarò venuto solo un paio di volte quaggiù e non mi sono mai spinto più in là della casetta di Frank”. “Allora andiamo a vedere cosa troviamo”, Helena levò il copri obiettivo dalla macchina e fece qualche foto intorno alla casetta. Ci eravamo nuovamente addentrati dentro la foresta, il sentiero ora scendeva più ripido verso il lago, biforcandosi poco più avanti. Proseguendo dritti si arrivava in spiaggia, si intravedevano in lontananza la sabbia e il lago. A sinistra invece il sentiero proseguiva solo per pochi metri terminando la sua corsa davanti a un cancello imponente, ai cui lati c’erano delle enormi lanterne coperte da un vetro color arancione. “Chi abita qui?” chiese Helena incuriosita alla vista del cancello. “A dirti la verità al momento non te lo saprei dire”, sapevo che in quella zona c’era una corte medioevale, si vedeva a malapena da Borgo Celeste a causa della fitta vegetazione che circondava quel posto. Dall’alto spiccava solo il colore giallo delle strutture. “Fino a qualche anno fa la proprietà era di una ricca famiglia del posto, i Pavoncelli. L’ultimo erede però sembra aver venduto tutto ad un uomo che di rado si vede in paese”. La struttura era composta da più edifici e il suo perimetro era delineato da un muro non molto alto. Alla sinistra del cancello c’era una piccola torre, sicuramente all’epoca della costruzione era il corpo di guardia situato davanti l’ingresso principale. Sulla destra invece, tra le chiome di due alberi, si intravedeva un campanile con un orologio che segnava le 3 e 15. Helena ed io continuavamo a sbirciare attaccati al cancello. Quel luogo era davvero incredibile, sembrava come se il tempo lì dentro si fosse fermato centinaia di anni prima. La ristrutturazione degli edifici era stata fatta sapientemente, non deturpando quella che era la costruzione originaria delle strutture. “Ti va di entrare?”, chiesi ad Helena con una voce un po’ eccitata. Helena sobbalzò. “Eh? Ma dici sul serio?” Le sorrisi e iniziai a camminare in direzione del campanile che avevamo intravisto. “Sì. D’altronde non era quello che stavi pensando anche tu?” “Tu sei pazzo, Michele!” Il muro che circondava la corte non era più alto di due metri e in alcuni punti era chiaramente da sistemare. Continuavo a perlustrare nella speranza di trovare un punto per scavalcare e vedere cosa c’era dentro. Proprio di fronte a quella che doveva essere una piccola cappella c’era un cancello segnato dal tempo e dalla natura. Era arrugginito e sbilenco, sembrava che fosse ancora lì per miracolo. Provai a muovere il cancello, ad aprirlo spingendo con quanta più forza potevo ma non si mosse. “Helena dammi una mano, vediamo se riusciamo ad aprirlo”. “Va bene, ma se ci beccano le informazioni le chiederai direttamente in commissariato”. Spingevamo in due, ma il cancello sembrava non volerne sapere. Proprio quando la speranza stava venendo meno, iniziò ad aprirsi tra i lamenti del vecchio ferro arrugginito. La cappella era in pietra grezza e tutt’intorno aveva un giardino che non veniva curato da tempo. Le erbacce erano cresciute anche intorno alle pietre che formavano il piccolo viale che portava verso un altro cancello. La chiesetta era infatti circondata da un ulteriore muro che impediva l’accesso al resto del complesso. Amavo le strutture medioevali come quella ed ero ancora più incuriosito dal piccolo luogo sacro. Entrando al suo interno però l’eccitazione lasciò posto ad un pizzico di delusione. Era solo una piccola sala completamente spoglia, se non per un piccolo altare in marmo. Sulla destra una porta permetteva di salire sul campanile. Anche lì però non c’era nulla, la scala doveva essere caduta da tempo. “Qui dentro non c’è praticamente nulla”, sbottai con un pizzico di rabbia. “È vero. Solo qualche scarabocchio sui muri, sarà stato qualche ragazzo della zona” Mentre Helena osservava i muri vandalizzati, io ero incuriosito da quel piccolo altare. Sopra si vedeva ancora una cornice con un affresco di qualche santo ormai irriconoscibile. Quel luogo mi provocava una sensazione strana, mi sentivo come osservato da tanti occhi che soppesavano ogni mio gesto. Mi girai verso la porta del campanile e nell’ombra mi sembrò di intravedere i contorni di una persona, con un cappuccio sopra la testa e le mani giunte in grembo. Pensai immediatamente ad un prete francescano. I contorni di questa figura però sparirono dopo appena qualche istante. Un brivido corse veloce lungo la schiena. Forse era solo la poca luce che entrava in quella stanza e mi aveva giocato un brutto scherzo perché lì non c’era nessuno. Iniziò a girarmi la testa, mi si drizzarono tutti i peli del corpo fin sopra i capelli. Nella testa delle voci risuonavano cantilenando in una lingua che non riuscivo a capire. Una sensazione di rabbia e disperazione si impadronì della mia mente. Intorno a me sentivo dei passi, come fosse pieno di persone, invece c’eravamo solo io ed Helena. Solo dopo mi accorsi che provenivano dai muri, dal pavimento, dal soffitto. “Le senti Helena?”, ero come ipnotizzato, “queste voci?” Mi avvicinai alla parete di fondo e solo allora mi accorsi che le voci sembravano intonare un canto gregoriano. Volevo ascoltarlo, ne avevo bisogno, sentivo un desiderio che mi bruciava dentro come un fuoco. Appoggiai l’orecchio sul gelido muro di pietra nella speranza di ascoltare quei canti più da vicino. Tutto invece si fermò, un silenzio irreale calò all’interno di quella cappella e una voce calda e profonda mi sussurrò qualcosa di incomprensibile ma terrificante. Caddi in ginocchio come un sacco di patate, sopraffatto da una sensazione di terrore. Mi girai verso Helena cercando di chiederle aiuto ma non riuscivo a parlare. Lei non si avvicinò, rimase ferma a guardarmi accasciare a terra. Una strana nebbia calava sui miei occhi, ma prima di perdere i sensi, non mi sfuggì il gelido ghigno sul suo viso. La Voce del buio la voce del buioparte 5